Nel 1938 usciva un volumetto, piccolo di mole, ma succosissimo e singolarmente originale nella sostanza: Lingua contemporanea di Bruno Migliorini, un linguista allora nel pieno della sua maturità (era nato a Rovigo nel 1896). L’opera, in un linguaggio tanto rigoroso quanto accessibile e vivace, a tratti brillante, tracciava un consuntivo delle più notevoli tendenze innovatrici che percorrevano la lingua contemporanea: non solo l’italiano, ma tutte le maggiori lingue europee occidentali, con le quali l’italiano era (ed è tuttora) in rapporti di stretta solidarietà. Un’opera sulla lingua contemporanea così insolitamente aperta e stimolante non poteva nascere a caso. In realtà dietro di essa stavano anni di lavoro assiduo, concretizzatosi in una serie di saggi su tutto in complesso di innovazioni fondamentali delle lingue “occidentali” contemporanee, che Migliorini aveva cominciato a far conoscere nel 1931 e che avevano avuto già una vasta eco negli ambienti linguistici internazionali. Queste ricerche sulla lingua contemporanea trovarono in Migliorini un maestro ineguagliabile: il suo senso della concretezza, la sua penetrante intuizione, la sua sterminata e cordiale dottrina realizzarono sulla materia “contemporanea”, all’interno della linguistica storica, un esperimento di frontiera, le cui potenzialità sono ancor oggi tutt’altro che esaurite.