L’Ultima Frontiera della Città
La storia di un artista e del suo legame profondo con la città che diventa manifesto di un'epoca che cambia.
Milano non è stata mai avvicinata alle più belle città italiane. I suoi contorni fumosi le davano un’identità rigida e incrollabile, tuttavia, non libera da tensioni creative. Non le appartengono i canali di Venezia in cui l’acqua increspata danza sotto le gondole. Il frastuono dei rondò e le cime dei palazzi sbiadiscono di fronte ai viali alberati, le strade e le chiese di Roma. L’unica connotazione artistica delle metropoli milanese è il suo confine: la periferia, quell’agglomerato di capannoni industriali, calcinacci e case sverniciate fanno parte della sua storia. Così, Giovanni Cerri, pittore milanese, ha ritratto la città cominciando dal suo estremo per arrivare al centro. Nel suo libro Ultima Frontiera affiora una descrizione di Milano sfumata e sospesa con la fine della giovinezza dell’autore ma rintracciabile nella periferia perché ne ha attraversato le trasformazioni.
Il centro è tratteggiato a matita in cui convergono artisti e critici che hanno segnato un modo proprio di concepire la vita culturale attraverso un’aderenza totale alla città: dallo studio di suo padre Giancarlo Cerri in via Muratori, agli incontri con lo scultore Giuseppe Scalvini che amava attraversare la città di notte dopo i concerti di Pierre Boluez. Il quartiere di Brera era il punto d’incontro per artisti che hanno raccontato quella sua indole di emancipazione creativa, Una parte di metropoli dalle vie strette, di palazzi sopravvissuti alle ruspe con gli abbaini e i tetti a spiovere. Qui avvenivano le chiacchierate con Dimitri Plescan sul Ponte delle Gabelle: storico approdo a Milano per chi arrivava da Nord navigando lungo il Naviglio della Martesana. I sentieri ciottolati e le facciate dai mattoni rossi nel mezzo di arbusti mostravano il Ponte come parte di una cartolina in cui si ritrovano avventori e artisti. Dalle zone centrali di Milano si attraversa la città fino ai paesi limitrofi, passando per lo Scalo Romana verso via Ripamonti ritratto dal pittore Giuseppe Motti. Una ricostruzione attraverso i suoi scali ferroviari, un ricordo inchiostrato ai tempi delle officine e delle ciminiere della stazione in cui arrivavano molti operai della zona sud della città. Da qui si arriva al composito panorama periferico, tra i prati e le case colorate di Cassano Magnago a le zone industriali come Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia con i capannoni industriali e il cielo di piombo in una Milano sospesa tra le zone di campagna e l’arrivo della cementificazione.
La periferia è stato teatro di passaggio dagli anni Ottanta ad oggi. la zona della Bovisa anni ha segnato il primo confine della città delimitato da calcinacci e manifesti stropicciati, vestita da relitto dimenticato, questo quartiere è stato il cratere desolato e ribollente di un desiderio creativo. Le zone periferiche della città sono il loro centro perché raccolgono i movimenti e le trasformazioni generazionali. Il centro che si mostra vivo in realtà è sospeso., al contrario le periferie in cui tutto appare immobile e vuoto sono l’epicentro del cambiamento poiché scandiscono la vita delle persone che le abitano immerse nelle trasformazioni metropolitane: le liti, i primi amori e le corse da ragazzi circondate dall’arrivo delle fabbriche, dal sorgere di nuovi palazzi e soprattutto dall’abbandono delle fabbriche. Così per Giovanni Cerri, la Bovisa è stata la prima terra di confine da raccontare attraverso l’arte e da cui partire per catturare Milano e la sua gente. I capannoni industriali, i cocci, le erbacce e le vie impolverate hanno scoperchiato la cornice suburbana della periferia. Come una camera oscura attraverso cui catturare la luce che penetra questa parte dimenticata di Milano. Ultima Frontiera è una mappa sentimentale e anche un manifesto artistico attaccato dalla prima volta in Bovisa, zona settentrionale della città attraversata dai binari della ferrovia.