Storie di coraggio e solidarietà
Un filo rosso che si dipana attraverso storie di uomini e donne del Novecento, simbolo di una trasversale forma di Resistenza.

In occasione del Giorno della Memoria abbiamo scelto di dedicare l’intera settimana a un filo rosso che si dipanasse attraverso storie di coraggio e solidarietà, storie di uomini e donne del Novecento, simbolo di una trasversale forma di Resistenza.
Nel 1940, quando la Germania invase la Danimarca, ci fu un movimento di tutta la società civile che si oppose alla deportazione e che permise di mettere in salvo settemila cittadini danesi di religione ebraica. Non ci fu nessuna distinzione: dal Re alle classi sociali più umili, tutti fecero la loro parte per aiutare i connazionali ebrei. Nella coscienza di tutti i danesi emarginare o attentare alla loro vita significava infatti mettere a rischio tutta la cittadinanza. Il profondo senso di solidarietà che animava la popolazione era sottolineato anche dall’assetto urbano e urbanistico: mentre in alcune metropoli europee, tra cui Roma o Varsavia, i nazisti distrussero e annientarono la comunità ebraica, facilitati dalla registrazione e dall’istituzione di punti di raccolta nei ghetti, nelle grandi città danesi non furono mai realizzati e nessuno fu mai costretto a vivere ai margini della convivenza sociale.
Negli stessi anni, sotto la dittatura fascista, Firenze conosceva invece quel meccanismo di emarginazione già da tempo: fu infatti tra le prime a erigere un ghetto per la registrazione della popolazione ebraica nel 1576. La costruzione era stata una politica radicale di Cosimo I De Medici che diede l’indelicato compito a un magistrato di cui si sono perse le tracce: Carlo Pitti. Quest’ultimo, firmatario del primo censimento degli ebrei e del decreto per la loro espulsione, scelse di realizzare il ghetto a nord del Mercato Vecchio, tra le zone più malfamate della città, dando inizio a politiche di segregazione sociale ripetutesi largamente nei secoli.
L’episodio danese fu dunque un episodio di salvazione collettiva legato a una presa di posizione forte e univoca, resa ancora più paradossale dal suo primo sostenitore: Georg Ferdinand Duckwitz, militare tedesco, iscritto al partito nazista con tessera No.1295253. L’ufficiale del Reich avvertì tutta la comunità ebraica e fu il promotore di un canale diplomatico con la Svezia, nazione neutrale, al quale chiese di ospitarli tutti, indistintamente. Il Caso Danese rappresenta di fatto una straordinaria eccezione: grazie all’intervento di un Nazista Giusto (https://it.gariwo.net/editoriali/georg-duckwitz-e-lo-squilibrio-della-memoria-9337.html) e alla ferrea volontà di questo nobile Stato si riuscì a evitare la deportazione nei lager per quasi la totalità dei cittadini ebrei residenti nel Paese.
Questa storia di coraggio e solidarietà rivela un radicato senso di comunanza che dovrebbe risiedere nell’essere Civile e che Simone Weil ha descritto lungamente in un saggio del 1942, scritto con lo stesso sentimento di oppressione, in una piccola stanza del Fronte di Liberazione France Libre a Londra. Si tratta di un manifesto morale dei doveri dell’uomo e prende appunto il nome di Il Radicamento. L’autrice sostiene che il radicamento è il bisogno più importante e misconosciuto dell’anima umana. “Un essere umano ha una radice tramite la sua partecipazione reale e naturale ad una collettività che conserva vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro”.
Anni dopo la guerra, Henry Sinding, un pescatore danese che salvò molti ebrei trasportandoli in Svezia, disse che il desiderio di salvare gli ebrei in Danimarca nacque nella coscienza dei danesi stessi: è stata la storia di uno Stato che si è riconosciuto come un popolo e ha scelto un'unica sorte, benefattrice e benevola. Lo stesso non si può purtroppo dire di Etty Hillesum, giovane ebrea olandese che decise di farsi mandare volontariamente nel campo di transito di Westerbork per condividere il destino del suo popolo e finendo poi ad Auschwitz senza fare ritorno. Guidata da una forza individuale che emerge viva nel suo Diario e nelle Lettere, nel repentino cammino intrapreso seppe guadagnare una profonda pace interiore e una capacità di amare così vasta da permetterle di affrontare la tempesta delle persecuzioni con raro coraggio.
Il Novecento è stato evidentemente attraversato da grandi storie di resistenza individuale e collettiva accomunate non dalla lotta Contro, ma dalla lotta Per, una lotta per la sopravvivenza dei valori dell’uomo e della democrazia. Quegli stessi valori trasmessi da Eugenio Curiel, promettente fisico, al fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale da lui fondato. Venne ucciso a Milano nel 1945, quaranta giorni prima della liberazione della città, da un attacco di una squadra della polizia fascista in Piazza Baracca.
Il Novecento è stato evidentemente attraversato da grandi storie e una di queste è quella di un popolo che ne mise in salvo un altro.