Alessandro Manca
 05/06/2022

Questi sono anni di transizione e gli obblighi
saranno pesanti.
Il cambiamento è veloce ma la rivoluzione
ci metterà un po’.
L’America non è ancora cominciata.
Questo continente è un seme.

LETTERA RIVOLUZIONARIA #10

Diane di Prima, conosciuta in Italia fino a pochi mesi fa per la traduzione del suo Memorie di una beatnik, sorta di diario erotico di una generazione, con Lettere rivoluzionarie (pubblicato da Le Lettere alla fine del 2021 con la traduzione di Veruska Cantelli) viene offerto ai lettori italiani un libro contenente altri messaggi rivoluzionari e incendiari. Il focus, però, si sposta altrove e quest’opera prende vita da pagine di poesia che si fa e si dà come militante, con funzione di taccuino e manuale per una tribù alternativa composta da coloro che vengono prospettati come appartenenti a veri e propri comitati e cellule alternative (#17).

Non si può uscire dalla battaglia spirituale
la guerra è la guerra contro l’immaginazione
non puoi iscriverti come obiettore di coscienza
(#75)

La stesura di queste Lettere è cominciata attorno al 1968 e, come libro, vide la pubblicazione nel 1971 per i tipi della City Lights di Lawrence Ferlinghetti. La redazione estesa risale al 2021 ed è questa la versione tradotta dalla Cantelli. Lo stile che caratterizza il volume è disadorno e il crudo catalogo la fa da padrone attraverso una voce che non sussurra, semmai parla ad alta voce. Lo spazio per orpelli è davvero poco. Tutto si dà nell’essenzialità. Di Prima sceglie una modalità espressiva che possa coinvolgere direttamente i propri fratelli e le proprie sorelle attraverso ragionamenti schietti e spesso evocando un mondo opposto a quello che vorrebbe aiutare a costruire. Anche per questa ragione la sua è una poesia marcatamente militante, pragmatica e caratterizzata da un’urgenza posta con chiarezza e schematicità: la storia è un’arma vivente nelle tue mani (#75), si afferma. Questo sembra essere il messaggio di fondo e, come scrive la stessa poetessa, la sua è, anche, «una poesia in prosa ed è didattica» (#77). Le radici di questo stile e intenzione partono però da lontano e sono radicate in un capitolo decisivo della storia della letteratura americana. Per esempio nel 1914 Ralph Chaplin, scrittore e attivista sindacale, facente parte degli Industrial Workers of the World (gli IWW, o “Wobblies”) scriveva già:

Ci han messi in ginocchio, circondati dalle loro linee marziali;
Ci han cacciati di casa per farci provare la morsa del gelo;
Eppure, perdio!, quei cani maledetti non potrebbero fermarci,
Nemmeno i cani dell’inferno potrebbero farlo!
(…)
Raffica dopo raffica, ci han crivellato di colpi;
E abbiamo udito il sibilo e lo schianto dei loro veloci proiettili.
Ma presto gli faremo pagare la loro follia:
Oh, compagno, come desidero la primavera!


(da When the Leaves Come Out)

Il versificare dell’americana si avvicina anche a quello di alcune poesie scritte da suoi contemporanei, come quello di Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder e Anne Waldman, ma non solo. Del primo ricalca modalità che riportano ad America più che al flusso di coscienza che caratterizzò Urlo e Kaddish (America libera Tom Mooney /America salva i Lealisti Spagnoli / America Sacco e Vanzetti non devono morire / America io sono i ragazzi di Scottsboro). Questa poesia di Ginsberg rieccheggia chiaramente nella Lettera #49. Dal secondo si possono riscontrare somiglianze di stilemi utilizzati per esempio in Manifesto populista:

Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills,
dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills,
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dalle vostre tende e dai vostri palazzi.
Gli alberi stanno ancora cadendo
e non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
(…)
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari
non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce & l’amore.
(…)
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
(…)
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.

Di Prima quando scrive per altri poeti e artisti lo fa principalmente in quanto ‘guerrieri’ (#69) e parla direttamente a tutti i componenti della sua tribù attraverso versi fra i più politici del gruppo beat. Non è un caso il fatto che collaborò da vicino con Amiri Baraka, tra gli scrittori americani più attivisti. A lui dedica la Lettera #31. Tra le poesie di questo volume si trovano anche suggerimenti pratici di azione nel caso si debba nascondere qualcuno (#14) o compiere occupazioni di città o campus universitari (#15) Attraverso cataloghi di avvenimenti (come per esempio quelli dedicati alla crisi energetica del ’73, in #61), riflessioni e soprattutto indicazioni, si veicola un netto rifiuto dello stile di vita imperante tentando così di rinnovare un impegno sociale dalle sfumature anche femministe (Tribù / un organismo, una pelle, respira gioia come le stelle / respira il destino su di noi, vai / incamminati, unisci le forze, prenditi cura delle cose, milioni di figli / saranno pronti quando cadrai, crescerai / milioni di volte nelle pance delle tue sorelle, in #2). Come si è detto lo stile e il contenuto di questo lavoro è distante da Memorie di una beatnik anche se sporadicamente compaiono riferimenti che ci riportano a quelle pagine, come nella lettera #66. Altre somiglianze sono rintracciabili con alcuni componimenti scritti da Gary Snyder (soprattutto quelli contenuti ne L’Isola della Tartaruga): si veda la poesia Fatti, elenco a punti riguardante materie prime e fabbisogni che sembra estrapolata da un articolo di inchiesta. Ponti, risonanze e collegamenti appaiono evidenti anche rispetto ad altre poetesse americane, per esempio con Anne Waldman e il suo poema Donna che parla veloce (si vedano le Lettere #49, #67 e #68):

Sono la donna che saccheggia
La donna fenomeno
La donna che studi
La donna che chiama
La donna che scrive
Sono la donna che archivia

In alcune poesie, soprattutto quelle più drammatiche e dal piglio più visionario (come #12), Di Prima si avvicina allo stile di Lenore Kandel, come nella poesia di quest’ultima dal titolo Prima hanno massacrato gli angeli. Eccone un frammento:

rabbrividendo nel sudario macchiato di piscio
I serafini e i cherubini son spariti
Loro se li sono mangiati, ne hanno spaccato le ossa cercando il midollo
si son puliti il culo con piume d’angelo
e ora camminano per strade tutte in macerie con
occhi come buchi di fuoco

L’estetica dunque, coerentemente, si fa lontana da stilemi ermetici o da convenzioni colte. Le poesie di Lettere rivoluzionarie prendono vita e senso come reportage e storia del mondo underground americano. Di Prima si connette a uomini e gesti attraverso informazioni di militanza e tattica esprimendo un chiaro discorso sul mondo, a cui si rinvia costantemente e che forma l’unità dell’opera. Il vissuto che viene espresso diventa valore fattuale, culturale e politico e le riflessioni toccano molti temi, più o meno direttamente: l’industrializzazione, la scuola, il rapporto con il selvatico naturale, il capitalismo nelle sue sfaccettature (industria, guerra, spettacolo,…), il lavoro, la religione, l’arte, la salute, l’alimentazione, la famiglia, l’approvvigionamento di cibo, la sovrappopolazione… Il tentativo è quello di rifondare una coesione sociale e umana superando frammentazioni e storture alla luce del concetto di ‘rivoluzione’. Questa parola appare già prima della lettera rivoluzionaria numero uno. Di Prima mette da subito in chiaro i suoi intenti: creare poesia per una comunità alternativa a cui augura e prospetta vita autonoma e pratiche di autogestione. Non è un caso, quindi, la comparsa di nomi di alcune personalità anarchiche come Emma Goldman (citata nella dedica al nonno, Domenico Mallozzi), Sacco e Vanzetti, Kropotkin (in Poesia di compleanno e pesce d’aprile per il nonno). La Lettera numero 20 è dedicata, per esempio, a Huey Newton, attivista e fondatore del movimento rivoluzionario afroamericano delle Pantere Nere assieme a Bobby Seale. In questa si legge, tra l’altro:

Non mi fermerò
Finché gli uomini cammineranno liberi & impavidi sulla terra
ognuno seguendo i modi del proprio sangue &
tribù, in pace nell’aria libera
(…)
finché giovani donne
diventeranno sicure di se stesse, onorate & impavide
di partorire bimbi forti
amando & danzando

Siamo di fronte ad un volume di poesie che esorta all’azione e alla praticità (Il valore di una vita individuale un credo che ci hanno insegnato / per incuterci paura e inazione ‘si vive una sola volta’, in 2#; un codardo è contento / di essere uno spettatore, in #23) e all’unione. La terza lettera chiarisce una delle peculiarità che pervade tutta l’opera, quella di essere, anche, un bollettino pratico: Conserva l’acqua; fai in modo di riempire la vasca / alle prime notizie di guai: hanno tagliato l’acqua / nel distretto 4 per un giorno interno durante la rivolta di Newark / (…) conserva cibo. Stesse modalità compaiono anche in #5 e #78. Come si è accennato, Di Prima evoca l’unione e il ritorno di una comunità coesa di matrice anarchica, in cui gruppi di fratelli e sorelle sapranno affrontare i problemi della storia insieme, in modo pratico e spirituale (#13), oltre i limiti del potere verticistico. L’immagine della danza e della musica compaiono come metafore di questo percorso da compiere in coesione e gioia. Lettere rivoluzionarie sembrano proprio scritte per preparare e accompagnare questo ‘movimento’ e fornire un vademecum di pratiche di sostegno e condivisione. Anche l’aspetto mitico è evocato per gettare un ponte fra tutte le comunità tribali del pianeta (proprio come Snyder fece con alcuni suoi componimenti, come La canzone del domani). Di Prima immagina e accompagna la vita e l’azione di un uomo che descrive come istintivo e che «lotta come una pianta / per la luce, per l’aria» (#15), «Cerchiamo continuamente quell’uomo selvaggio / sufficiente & generoso» (#58) e un uomo che sia pieno di immaginazione e coraggio (#75). Proprio come per Snyder, la sua poesia, si pone come ipotesi fondatrice di un nuovo umanesimo. Di conseguenza l’aspetto decisivo è la prospettiva da cui guardare la realtà e come agire in essa. E in effetti tutto il discorso della Di Prima ne è pervaso. L’andamento procede da una parte attraverso una pars destruens, in sostanza la parte di critica del potere, delle sue aberrazioni, delle sue bugie (citati fra gli altri anche De Gaulle, Johnson e Rockefeller) e una pars costruens, vale a dire quella relativa ai lunghi cataloghi di indicazioni propositive per la sua comunità e la strada da seguire. In #7, per esempio, scrive: fai meditazione, prega, fai l’amore, sii preparata / sempre, a morire (…) quello che vincerà / saranno i mantra, il sostegno che diamo l’uno all’altro / l’energia a cui ci colleghiamo. Alcune Lettere richiamano riflessioni affini a quelle di pensatori come Sun Tzu. La poesia dell’americana si colloca in una categoria che potrei chiamare di tattica pratica di vita e di lotta (Tutte le volte che scegli un posto per un raduno / una dimostrazione, una marcia, una manifestazione, scegli il territorio / di una potenziale battaglia, da #8), di battaglia (si arriva a suggerire cosa portare con sé e cosa evitare di avere durante una manifestazione), di vittorie e sconfitte, di resistenza.

mentre i tranquilli
villaggi
sono mitragliati
il sangue
ossa muscoli
bruciano
ma le foreste
sono folte
i deserti
in movimento
le giungle
sussurrano RESISTI

(in #69)

Altrove scrive che «squagliarsela è un’arte», riflettendo sul concetto strategico di ritirata dopo aver precisato «da chi/dove puoi andare / come arrivarci» e quali mezzi di locomozione potrebbero essere i più adatti in una condizione di rivoluzione (in #18). La poesia che abbiamo di fronte vuole arrivare a riconosce limiti e possibilità di una vita che si fa rivoluzionaria e neotribale, procedendo evidenziando e abbattendo una serie di tabù occidentali e americani in special modo: «distruggi il concetto di denaro» (in #9) e «se quello che vuoi è un lavoro / per tutti, sei ancora il nemico» (in #19). Lettere rivoluzionarie, da questo punto di vista, è un grande contenitore di fatti ed eventi (sono citate per esempio manifestazioni e convention), attivisti e poeti, realtà associative militanti, come i Diggers (la lettera #40 è dedicata a Emmet Grogan). Spazio anche, e abbondante, come già ricordato, per consigli pratici: dove scappare in caso di necessità, su chi fare affidamento, come sapersi meglio organizzare, come mimetizzarsi (si veda, per es. (#25) Un tema che ricorre sovente è quello della relazione con la vita dei nativi americani, da una parte la loro condizione di deprivazione contemporanea, dall’altra come riferimento mitico. Fra le pagine risuonano (anche se non riportate per esteso) alcune massime celebri pronunciate da uomini provenienti proprio da quel mondo che non ha perso il radicamento con la natura e con il ‘selvatico’ (Quando l’ultima fiamma sarà spenta, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce catturato, allora capirete che non si può mangiare denaro. Attribuita a Toro Seduto). L’intento sembra essere quello di aiutare a ricreare praticamente e idealmente una nuova prospettiva di ‘cultura di villaggio’ (#32, #33). Attenzione anche per alcuni militanti Nativi Americani suoi contemporanei, come Leonard Peltier e l’AIM (American Indian Movement). Questa prospettiva sfocia in riflessioni ecologiste (nella lettera #16 e alla fine di #13) ribadendo, ancora una volta, le affinità con la poetica di Snyder (si veda Madre Terra: Le Sue Balene, Prima Linea). Le analogie proseguono alla luce degli affreschi che raccontano l’America com’era (o quantomeno come è stata sognata da alcuni), com’è e come potrebbe nuovamente essere. A suggellare tali parentele il titolo del volume più celebre di Snyder compare nella Lettera #56, che riporto per intero:

Attraversando tutta l’Amerika
quello che vedo & trovo è
L’America indiana
le forme & le strutture
della Grande-Isola-della-Tartaruga

Spazio molto contenuto, invece, per raccontare la parte del movimento più vicina alla psichedelia (#39). Una decisa preferenza viene data ad avvenimenti storici e politici, del lontano passato (i fatti di Wounded Knee) o del presente (la Guerra del Golfo, quella in Afghanistan, il crollo delle Torri Gemelle). Il messaggio di alcune Lettere si avvicina perfino ad una prospettiva luddista e sovversiva (simile agli intenti dell’autore del romanzo I sabotatori, Edward Abbey). Non a caso il volume è pervaso da una dinamica che rappresenta uno scenario dualista: noi / loro (#36). Si veda la Lettera #82, quella che porta il sottotitolo ‘Angeli vendicatori’:

vendico
il pianeta
lacerato
& sanguinante
(…)
Oh meravigliose
fontane
& fiumi
di sangue.

Il discorso che è intessuto nelle Lettere rivoluzionarie ha la funzione e l’intenzione di decondizionamento dagli uomini che gestiscono la mente e comandano apparati oppressivi (SFASCIA I MEDIA, ho detto, / E BRUCIA LE SCUOLE, da #11, L’ASSALTO ALL’INTELLIGENZA INDIGENA & ALLA BUONA VOLONTÀ / CHE CHIAMIAMO IL TELEGIORNALE DELLA SERA / NON SONO NIENT’ALTRO CHE UN ATTO DI TERRORE?, da #80). Di Prima si dimostra maestra di poesia eretica, che si dà come programma e ipotesi di ‘liberazione’ (si veda #65) all’interno di una rete di uomini dediti all’impegno comune.

RISCRIVIAMO
i libri di storia.
La storia si ripete
solo se glielo permettiamo
(in #62).

I volumi
Diane Di Prima

Lettere rivoluzionarie

Lettere rivoluzionarie di Diane di Prima è un dono, un viaggio senza bussola dentro tumultuose ed emozionanti decadi di trasformazione.
Diane Di Prima
2021, pp. 326
ISBN: 9788893662550
€ 22,00  € 20,90
Il Nuovo Melograno, 90
2021, pp. 326
ISBN: 9788893662550
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