Carlo Verdone
 27/06/2022

Il 1968 fu un anno decisivo per la mia crescita. A giugno avevo dovuto prepararmi per la maturità classica appena riformata e durante l’estate mi ero dedicato con grande passione alla musica rock, formando un piccolo complesso “The Sounds Players” con il quale mi esibivo in compagnia di alcuni amici nelle feste dei circoli e nelle cantine. Non avevo ancora la consapevolezza delle mie inclinazioni teatrali e cinematografiche di attore, alle quali dettero un notevole contributo mio fratello Luca che mi propose uno spettacolo sull’opera Gargantua e Pantagruel di Rabelais per una cantina “underground” di Roma, denominata Il Cenacolo, e mia madre Rossana, vera artefice del primo successo teatrale nello spazio del teatro Alberichino.
Proprio nel 1968 mio padre, Mario Verdone, pubblicava per l’editore Ceschina di Milano un piccolo volume di poesie tradotte dall’armeno di Yeghishe Charents, Odi Armene a coloro che verranno. Ho sentito da lui per la prima volta il nome di questo grande poeta e ho potuto leggere i suoi componimenti subito dopo la pubblicazione del volumetto curato da mio padre. I versi di Charents mi hanno incantato per la struggente evocazione di immagini tratte da un universo a me sconosciuto, quello delle regioni caucasiche, che si mescolano a suggestioni europee, dato che Charents viaggiò molto per conoscere Atene, Istanbul, Parigi, Berlino, Roma e Venezia. Un poeta che usò i versi in declinazioni sempre nuove, in cui si riconoscono le matrici della sua ispirazione di derivazione armena. Il temperamento passionale e malinconico lo ha avvicinato alla cultura simbolista, ereditata da Aleksandr Blok, e poi a quella futurista quando, frequentando a Mosca l’università, fu conquistato dalla poesia di Vladimir Majakovskij. È in questo periodo che adotta la versificazione futurista ma poco dopo, soprattutto durante i suoi viaggi in Europa, a partire dal 1925, il verso si distende in un ritmo libero, assolutamente personale, in cui le correnti della poesia europea si contaminano con l’evocazione del mondo armeno. In tutta la sua opera è prevalente la condanna della guerra, la difficoltà nel vivere in mezzo alle costrizioni e nella piena consapevolezza di esprimersi liberamente, la nostalgia per la sua Armenia. Tutte cose che, purtroppo, nel 1936 gli costarono l’accusa di nazionalismo e di cospirazione contro la Repubblica Socialista Sovietica.
Uno degli aspetti che più mi colpiscono nell’opera di Charents è l’amore universale, non solo quello per la sua prima moglie Arphenik Ter Astvazaturian e per il popolo armeno, ma per l’umanità intera che il poeta spesso canta nei suoi versi. Verso il futuro, del 1922, è il paradigma del suo abbraccio al Mondo. I due versi finali descrivono bene il suo sentimento: «Radio-stazione è la mia anima / rivolta al mondo, all’umanità».
Letizia Leonardi ha composto un ritratto esaustivo e dettagliato della figura di Charents. Una descrizione perfetta e piena di riscontri testimoniali, attraverso le dichiarazioni raccolte dopo la sua scomparsa, riportate anche dai documenti salvati dall’amica del poeta Regina Ghazaryan. Oltre a queste vi sono le lettere più significative scritte dal grande poeta armeno ad amici e familiari che rivelano la profondità dei suoi sentimenti e il coraggio mostrato in difesa della sua poesia. Particolarmente toccanti sono le trascrizioni dei suoi interrogatori al commissariato Sovietico di Yerevan, dove i funzionari del Partito Comunista lo accusano di aver scritto nei suoi canti messaggi acrostici per i nazionalisti armeni. Il passato di attivista del partito, a cui aveva aderito condividendo i programmi di Lenin non fu sufficiente a salvargli la vita. Il ritratto di Charents proposto da Letizia Leonardi si segnala, dal 1954 (anno della sua riabilitazione) in poi, come uno dei Yeghishe Charents più compiuti. I documenti salvati dalla grande amica del poeta, la pittrice Regina Ghazaryan, riportati nella biografia critica della Leonardi si leggono come pagine di un romanzo per la descrizione accurata dei fatti. Il destino tragico del poeta è seguito anche dalla seconda moglie, Isabella, che viene imprigionata ed esiliata, poco dopo l’arresto di Yeghishe Charents. Trent’anni dopo la morte del poeta, nel 1967, la donna torna definitivamente a Yerevan. Si ammala e muore pochi mesi dopo aver commemorato i 70 anni dalla nascita del marito.
La figura di Charents nel libro della Leonardi è già quella di un poeta universale. Dagli anni in cui era attivo fino ad oggi il suo mito continua a vivere tra i suoi connazionali. La sua voce si era alzata contro il genocidio per mano dei Giovani Turchi e poi si era dedicata a cantare l’amore per la sua terra. In una ode la chiama «Patria dagli occhi azzurri». Un poeta che ha portato nei suoi versi un canto ricco di ardori nel tormento delle sue passioni, con una fiducia sconfinata verso l’avvenire che la ferocia del regime stalinista non ha potuto scalfire. Il libro di Letizia Leonardi restituisce pienamente l’immagine di un poeta il cui destino tragico non ha avvolto nel silenzio e nell’oblio i suoi versi, come avrebbe voluto la brutalità stalinista. Devo essere grato a mio padre, Mario Verdone, per avermi avvicinato alla sua opera. E a questa appassionata biografia critica di Letizia Leonardi, che ha il grande merito non solo di farci entrare nella profondità dell’anima di Yeghishe Charents, ma di contestualizzarlo in un periodo storico dell’Armenia che è stato approfondito, nell’Europa Occidentale, solo recentemente.

I volumi
Letizia Leonardi

Yeghishe Charents

Yeghishe Charents è stato un uomo, un patriota e un poeta che ha vissuto pienamente, in un periodo storico buio, le sue speranze e fragilità, le sue illusioni e delusioni. Questo racconto della sua vita, che viene pubblicato nel 125° anniversario della sua nascita, è la testimonianza diretta degli orrori che Charents ha vissuto in prima persona, e che la Prima guerra mondiale ha inferto a tutto il popolo armeno.
Letizia Leonardi
2022, pp. 213
ISBN: 9788860879714
€ 18,00  € 17,10
Le Vie della Storia, 96
2022, pp. 213
ISBN: 9788860879714
€ 18,00  € 17,10