Redazione Le Lettere
 08/07/2022

Da qualche parte nello spazio è un’antologia che misura e si misura sul contrasto tra l’uomo e la natura selvaggia, è una poesia di confine in cui affiorano figure di lotta e resistenza come lo Stlanik, un raro esemplare di pino capace di sdraiarsi al suolo con il gelo e raddrizzarsi poco prima che subentri la primavera.

L'opera è composta da sessanta componimenti, articolati in tre sezioni. A compendio del libro vengono presentati una serie di inediti e un autocommento dell’autore. Nella prima raccolta, Corpo Stellare (2011), è presente l’urgenza di fornire delle coordinate nel panorama abbozzato di un paesaggio in costante movimento. Si evidenzia una poetica malinconica rivolta alla vita ordinaria e agli interstizi del tempo: i ghiacciai che si sciolgono, le case che ingialliscono, le stazioni ferroviarie e soprattutto la convivenza tra il piano umano e quello animale. Argéman (2015)è il nome alla seconda raccolta, un termine raro usato per indicare le lingue di neve o ghiaccio che sopravvivono anche durante l’estate scendendo dall’alto di un crinale. Qui riemerge il tema della resistenza, in questo caso della natura dinnanzi ai cambiamenti climatici; in un mondo di boschi disfatti subentra la forza generatrice della natura di fronte ai fenomeni avversi. Argéman è la sezione in cui il tema politico si fa più evidente. Cenere, o terra (2018) chiude l’antologia insieme a una decina di inediti. La terza raccolta rimanda a qualcosa che è rimasto superstite dopo un incendio, accentua il valore della testimonianza di fronte alla distruzione provocata dall’uomo. La cenere suggerisce l’idea di consumazione finale, di sparizione. La sezione finale degli inediti da conto del lavoro in corso di un poeta fedele a sé stesso e al contempo aperto a nuove forme e nuovi temi.

Da qualche parte nello spazio è uscita a distanza di quindici anni dall’ultima silloge Terre Emerse pubblicata nel 2007. Quella di Fabio Pusterla è una scrittura poetica abbracciata con mestiere, intesa come un esercizio quotidiano in cui le parole sono immerse nella catastrofe che viene raccontata e il comporre funge da sismografo di realtà più profonde, a volte luminose, a volte perturbanti.

In tal senso vorremmo dedicare le 3 poesie che seguono alle vittime del disastro della Marmolada, ovvero a coloro che, al di là di responsabilità ancora tutte da accertare, hanno incontrato immersi nella natura un destino avverso e sono morti travolti dal crollo del ghiacciaio il 3 luglio scorso.

Fiore, dirupo

Sarà stato un mattino, uno solo: qualcosa
come una luce inattesa irradiante
dietro o sotto le nuvole, un rosa disteso
lì fermo davanti al tuo giorno, magari difficile, cupo.
L’audacia dello sguardo: questo ti fu rivelato.
E dopo: essere fedele o tradire
quell’ipotesi di luce. Tutto
sommato non molto di più.
Fa’ i tuoi conti, respira o distogli
lo sguardo da ciò che ferisce, richiama e ti scruta.
Il tuo mucchietto di lucciole, il tuo mucchietto di cenere.
Pesali. Fiore e dirupo.
(da Argéman, 2011)



Paesaggio verticale.
Compianto per una valle fra le tante


Uno che guarda da qui deve alzare la testa,
slogarsela quasi per salire con gli occhi
dal fondovalle imprigionato stretto nei frenetici
commerciali formicai ai dirupi slavinanti,
ai boschi poco festosi di conifere cupe e smangiate,
costruzioni dismesse, croci sulle montagne,
turbìne. Sicuramente fuggiti in un altrove
gli antichi spiritelli silvani, le strigi delle fàure
se esistevano. Tu, se qui fossi Andrea, tu qui vedresti
senz’altro il grande melo dietro la casa patrizia
ora avvolta dai rovi, i frutti aperti
spezzati sull’asfalto rosso emblema
di tutto lo snaturabile snaturato rinaturato
malamente ridetto o silenziato: e svenduto.
Senti il ronzio costante dei motori,
la lunga fuga di vite e destini già incisi
sul nastro del disastro autostradale?
E come pulsano condotte sotterranee, depositi di munizioni,
come nervosi ticchettano i cavi di elettroni
in rapinosa corsa verso Nord?

Io qui sono nato, in questo tempo ritorto e non geografico:
ho percorso i sentieri e le discariche,
sono salito al rifugio dei pastori morti alle cascine cadenti
mezzo secolo fa, contando i vagoni dei treni e i loro urti
nei giorni dell’attesa palpitante,
e già tutto era in corso, in infusione
mistica, il lapis niger nascosto chissà dove,
asfaltamenti e bramosie avvocatizie, imperiali;
tu guarderesti il melo, io quasi fatico a vederlo, a riconoscerne
l’alfabeto sepolto il pastoso dialetto
che non è mai stato mio sotto i frutti ora persi
verminati. Allora quel che vedo
sono le vacche sulla pista degli aerei militari,
dove qualcuno voleva realizzare qualcosa
una grande attrazione turistica
ma i soldi erano finiti dopo i penultimi furti.
Mele sfasciate al suolo, al cielo polverume
e quell’odore di sterco sguaiato, le croste
sopra il cemento teso,
sputo o sberleffo, nessun amarcord.

Valle travolta paese smemorato
credevi alla Cibele sbagliata
cosa sei diventato.

(Inedito - Presente nel fascicolo Horizon/Orizzonte, The Florence Review 1/22)



Luce migrante

1.

Queste invernali rocce
urlano nero e gocce
d’ocra e di verde marcio
striano i costoni selvaggi.
Queste rocce invernali
qualcuno un tempo ha corso
fino alle case alte
abbandonate.
Dentro gli anfratti occhi
aspettano il ritorno della luce.
Ti attendono pazienti
luce fuggiasca che ritornerai
luce migrante.

2.

Nel flusso negato
la goccia d’acqua va
paziente stilla.
Un passo si prepara
di piuma e di cascata
un’altra età.
Parola si distilla
parola che verrà
ritmo di danza.

3.

Cavalli. E le criniere
scosse nel vento. Immobili
rami perduti imparano
il movimento futuro.
Le vele sono pronte
tutti i remi domani
batteranno il tuo tempo
come ali.

4.

Ciò che è minuscolo
si è manifestato
ciò che è invisibile
ha imposto di guardare
fragili fondamenta assi divelte
su cui camminavamo.
L’intima connessione delle cose
splende ora nella rovina e nel dolore.
Può essere paura.
Può dire nuovo ardore
per acrobati al filo sull’abisso:
andare oltrepassare ricongiungere.

5.

Quel che resiste e spera nell’inverno
vaso di ciclamino contro il muro
che nel gelo conserva il rosso cupo
e scintilla, memoria di una cosa.

(Inedito)



I volumi
Il libro è arricchito da un prezioso autocommento autoriale, che accompagnerà il lettore insieme al saggio di Massimo Natale.
Fabio Pusterla
2022, pp. 298
ISBN: 9788893662802
€ 20,00  € 19,00
novecento/duemila, 6
2022, pp. 298
ISBN: 9788893662802
€ 20,00  € 19,00