Sinossi

I due volumi dell’opera furono per la prima volta pubblicati il primo (Pedagogia generale) nel 1913 e il secondo (Didattica) nel 1914. Il primo volume non solo è l’illustrazione di cosa intende Gentile per pedagogia (che identifica con la filosofia), ma è altresì la prima illustrazione organica del suo attualismo. Nella prima parte (L’uomo) è affermato lo spirito come attività universale per cui il soggetto è ciò che egli va realizzandosi. Ne segue, nella seconda parte (L’educazione), il superamento del dualismo tra psicologia ed etica. Di conseguenza occorre, nell’attività educativa, non essere ma farsi maestro, ossia risolvere nella propria l’individualità degli scolari attraverso l’autorevolezza, il valore di ciò che si apprende. Nella terza parte Gentile si sofferma sulle diverse forme dell’educazione (educazione negativa ed educazione positiva, educazione formale ed educazione morale, ecc.) superando dialetticamente le distinzioni nell’unità in atto del processo educativo. Nel secondo volume Gentile critica l’esistenza di una didattica già prefissata; si sofferma sull’etica del sapere e sull’unità del medesimo come unità dello spirito. Nella seconda parte del volume esamina la didattica dell’arte come momento della soggettività (di qui l’importanza dell’interesse nel processo di apprendimento), la didattica della religione come momento della accettazione della oggettività (il valore delle scienze, della storia come tradizione ecc.), la didattica della filosofia come sintesi delle prime due in cui realizzarsi è conoscersi e conoscersi è realizzarsi: posizione di se stesso, ossia posizione nella realtà, in quanto posizione nella coscienza.

Autore

Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944), filosofo e storico della filosofia, fu uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico e un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo. Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l'ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con Benedetto Croce per un ventennio nella redazione della «Critica» e nell'opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del «Giornale critico della filosofia italiana»; ministro della Pubblica Istruzione (ott. 1922 - luglio 1924); senatore del Regno (dal nov. 1922); socio nazionale dei Lincei (1932); presidente dell'Accademia d'Italia (dal nov. 1943). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell'opera del Risorgimento, e ad esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica Istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studi, alla promozione e organizzazione d'imprese culturali (tra cui l'Enciclopedia Italiana, di cui fu anche il direttore scientifico). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e "non gregario di un partito che divide", l'unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull'orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da Benito Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze. E a Firenze fu ucciso da un gruppo di giovani aderenti ai GAP (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume G. Gentile: dal discorso agli Italiani alla morte, 1950 - Ristampa 2024, Le Lettere).