A cura di Patrizia Guggenheim e Tobias EichelbergTraduzione di Raffaella Adobati Bondolfi Una sequenza di scritti di Varlin (per la cura della figlia Patrizia Guggenheim e Tobias Eichelberg) è un’occasione per accostare l’orizzonte emozionante di questo artista nello scenario del Novecento. In una situazione di «svizzerità», di suissitude, come in una sorta di non luogo, di esonero dalla storia, Varlin è l’espressione più radicale di una pittura in figura, quasi un punto di non ritorno di una realtà che ha il battito e la malattia della vita.Negli scritti (alcuni testi, i viaggi come il memorabile soggiorno a Napoli, lettere alla moglie Franca) si ritrovano, quasi in frammenti di racconto, i connotati espressivi della pittura di Varlin: la pittura come totalità di «ritratto»; la filosofica imperfezione della vita che accade; la frontiera dell’ironia, della «vanitas»; il grigio come non colore dell’esistenza.Oltre le interpretazioni, verso ciò che è troppo grande e commovente, Varlin è stato amato in testi testimoniali, di scrittori: Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt in Svizzera; e in Italia il pathos di Giovanni Testori, l’acuta partecipazione di Vittorio Sgarbi.
Varlin (Willy Leopold Guggenheim) nasce nel 1900 a Zurigo da una famiglia appartenente alla borghesia ebraica. Dopo gli studi, ha un soggiorno a Berlino, nel 1922 si reca a Parigi. Qui conosce Leopold Zborowski (mercante di Modigliani e Soutine) che gli suggerisce di cambiare il nome Guggenheim per lo pseudonimo d’arte Varlin. Nel 1932 torna a Zurigo. Intraprende molti viaggi. Nel 1963 sposa Franca Giovanoli (del Canton Grigioni). Nel 1966 nasce la figlia Patrizia. Trascorre gli ultimi anni a Bondo nel Canton Grigioni dove muore nel 1977.