Sinossi

A cura di Francisco José Martín Nei tre frammenti di Spazio vi è un portentoso tentativo di rappresentare la totalità della poesia: non la poesia tutta, ma il suo carattere totale, assoluto. Spazio è infatti un poema totale, assoluto, indubbiamente una cima della poesia del novecento, forse anche della poesia universale. Il poeta compie qui l’estremo sacrificio: farsi egli stesso poesia, divenire poema.«Gli dèi non ebbero maggior sostanza di quella che ho io». Io, come loro, ho la sostanza di tutto il già vissuto e di tutto quel che resta da vivere. Io non sono solo presente, ma fuga torrenziale da cima a fondo. E quel che vedo, da una parte e dall’altra, in questa fuga (rose, resti d’ala, ombra e luce) è solo mio, ricordo e ansia miei, presentimento, oblio. [...]Non ti appena lasciarmi? E perché devi andar via da me, coscienza? Non ti è piaciuta la mia vita? Io che ti ho cercato la tua essenza. Quale sostanza possono mai dare gli dèi alla tua essenza che non le possa dare io? Te lo dissi all’inizio: «Gli dèi non ebbero maggior sostanza di quella che ho io ». E devi andar via da me tu, tu per integrarti in un dio, in un altro dio diverso da quel che siamo mentre tu sei in me, come di Dio?».

Autore

Juan Ramón Jiménez (1881-1958) è uno dei maggiori poeti di ambito ispanico di tutti i tempi. La sua vita è una costante ricerca che lo condurrà dal modernismo fin de siècle iniziale alla poesia pura e alla poesia metafisica e filosofica dell’ultimo periodo. In essa prevale l’idea di una permanente metamorfosi come tratto distintivo della sua poetica. Nel 1956 venne insignito del Premio Nobel per la letteratura. Tra le sue opere più significative si devono segnalare: Platero y yo (1914), Piedra y cielo (1918), La estación total (1946) e il volume postumo En el otro costado (1974).