Il lavoro e la riflessione di Paolo Volponi hanno percorso la seconda metà di questo nostro secolo, sempre cogliendone gli umori, le istanze, l’urgenza delle problematiche, ma soprattutto la crisi profonda – etica, sociale, ideologica, estetica – che ne ha caratterizzato la fisionomia. Crisi che ha particolarmente coinvolto la figura e il ruolo dell’intellettuale ponendo in questione il valore di un segno, di una scrittura, di un linguaggio, inevitabilmente soggetti ai rischi della reiterazione e quindi dello svuotamento o del fraintendimento semantico. Rischi di cui Volponi non solo ha mostrato avere profonda coscienza ma che ha consapevolmente affrontato facendone anzi l’oggetto stesso di un discorso che, nel suo costituirsi, tende in primis allo scarto dalla norma, dal codice prestabilito e fuorviante di un linguaggio «sempre più indurito e congelato su se stesso». La «rottura», l’«esplosione» di «una lingua ormai fatta e usata solo e sempre per ingannare togliere truffare rubare», diviene allora la modalità precipua di un intervento interno alla società che di quella lingua fa, appunto, uso ed abuso. Una società di cui Volponi mette così a nudo le logiche mentre tenta di sconvolgerle, rivela i meccanismi mentre si adopera a incepparli, racconta la storia mentre ne dichiara sconsolatamente lo scandalo. Ed è appunto in questo senso e in tale prospettiva che l’opera volponiana, nella gravitas che ne caratterizza la costituzione e l’urgenza dell’approccio alla realtà, così come nel suo stesso dialettico rapporto tra linguaggio narrativo e poetico, viene a definirsi come èsito di un progetto unitario nella sua organicità, nell’interezza di un messaggio tuttora aperto. In tal senso ne è stata dunque tentata una lettura che cerca di evidenziarne le linee evolutive e l’unitarietà ma anche, e forse soprattutto, l’irriducibile, arduo impegno di resistenza al silenzio quale estremo, inaccettabile rischio.
Maria Carla Papini, già ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Firenze, ha insegnato in varie Università europee e extraeuropee. Ha studiato la poesia crepuscolare e i movimenti d’avanguardia, dal Futurismo alla Metafisica, al Surrealismo, all’Ermetismo. Ha dedicato un’attenzione particolare alla produzione poetica e romanzesca italiana del XX secolo, studiata in relazione con la coeva produzione artistica e letteraria europea, in una prospettiva comparatistica che ne rileva, volta a volta, i rapporti con la pittura, la musica e il cinema. Tra i suoi libri: Paolo Volponi. Il potere, la storia, il linguaggio (Le Lettere 1997), La scrittura e il suo doppio. Studi di letteratura italiana contemporanea (Bulzoni 2005), «La Terra Promessa» e altri saggi su Ungaretti, Pisa, Edizioni ETS, 2018. Ha tra l’altro curato, con Daniele Fioretti e Teresa Spignoli, gli Atti del Convegno Internazionale su Il romanzo di formazione nell’Ottocento e nel Novecento (ETS 2007), con Gloria Manghetti e Teresa Spignoli, gli Atti del Convegno Internazionale di Studi su Vasco Pratolini (Olschki 2015) e, con Federico Fastelli e Teresa Spignoli, gli Atti del Seminario di Studi «La vita o è stile o è errore. L’opera di Giovanni Arpino (ETS 2018)». Ha inoltre introdotto e curato le raccolte di racconti di Aldo Palazzeschi, Bestie del 900. Il buffo integrale (Oscar Mondadori 2006), gli scritti sul cinema di Palazzeschi (Edizioni di Storia e Letteratura 2001) e di Anna Banti (Fondazione Roberto Longhi 2008), nonché, con Paolo Dal Molin, la corrispondenza tra Giuseppe Ungaretti e Luigi Nono (Per un sospeso fuoco, il Saggiatore 2016). Per i tipi della Firenze University Press ha inoltre introdotto e curato l’edizione di L’ammuina di Vasco Pratolini (2017).