Sinossi

Il volume, pubblicato per la prima volta nel 1920, raccoglie le lezioni di filosofia dell’educazione che Gentile tenne a Trieste, da poco annessa all’Italia, nell’agosto e settembre 1919 per un corso magistrale. Nell’opera è esposta e approfondita la concezione che il filosofo ha dell’educazione, la quale deve mediare la libertà dell’educando e la responsabilità che egli deve acquisire. Il tutto superando la cosiddetta antinomia tra la libertà del maestro e quella dell’alunno; il che si ha allorché, per il tramite del coinvolgimento generato dall’interesse per la lezione, maestro e scolari diventano tutt’uno. Di qui la natura spirituale del processo educativo e il superamento di ogni astratta oggettività, sicché la lezione non deve essere preparata a priori, ma realizzata nel contatto con gli allievi, processo sintetico in atto. Il che significa per Gentile il superamento di ogni presupposta e astratta metodologia e il suscitare negli alunni, da parte del maestro, la riflessione nella quale essi devono liberamente inoltrarsi. In tal modo il filosofo già ha in sé chiari gli intenti che dovranno permeare la nuova scuola italiana.

Autore

Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944), filosofo e storico della filosofia, fu uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico e un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo. Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l'ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con Benedetto Croce per un ventennio nella redazione della «Critica» e nell'opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del «Giornale critico della filosofia italiana»; ministro della Pubblica Istruzione (ott. 1922 - luglio 1924); senatore del Regno (dal nov. 1922); socio nazionale dei Lincei (1932); presidente dell'Accademia d'Italia (dal nov. 1943). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell'opera del Risorgimento, e ad esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica Istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studi, alla promozione e organizzazione d'imprese culturali (tra cui l'Enciclopedia Italiana, di cui fu anche il direttore scientifico). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e "non gregario di un partito che divide", l'unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull'orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da Benito Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze. E a Firenze fu ucciso da un gruppo di giovani aderenti ai GAP (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume G. Gentile: dal discorso agli Italiani alla morte, 1950 - Ristampa 2024, Le Lettere).