Sinossi

La poesia di Miodrag Pavlovic, piena di informazioni storiche e filologiche, ci introduce nel Medioevo serbo. È la Serbia, terra dei miti e delle leggende, a cui il poeta dedica tutta la sua ispirazione, in una lingua volutamente mancante di “lirismo” poetico, ma composta in tono salmico, ereditato dal cantore popolare. Quella terra che aveva battezzato il suo misticismo slavo e ortodosso, che aveva vissuto il suo massimo splendore politico-letterario ed era considerata «uno dei maggiori Stati dell’Europa intera», ora è solo «un luogo? Oppure un popolo nato con un segno?». Penetrare i lessemi pavloviciani significa entrare in una lingua antica quanto il mondo, che si chiama patria, patria della parola: data e negata, nella forma e nel contenuto. Il poeta della «serbica gente» conosce l’origine della celebre sconfitta subita e l’altrettanto celebre e sibillina risposta: chi sa perdere è migliore di chi vince ingiustamente. Il Popolo del grande urlo, da cui il poeta trae la forza e fra cui annovera ogni suo amico e nemico, ha vissuto la morte e ha saputo risorgere. Tutto è dovuto all’antico Insegnamento dell’anima, da cui il lettore potrà dedurre che la licenza poetica non è altro che quella sottile differenza che intercorre tra l’«anima» orientale e il «cuore» occidentale. Ne è la prova l’Entrata a Cremona che, con coinvolgente e scarno linguaggio paragonabile ad un testo antico, accoglie, con generosità, la bellezza dell’arte italiana che va «oltre gli uomini». Con la raccolta L’ultimo pranzo il poeta denuncia l’umanità che ha perduto la spiritualità e si è allontanata da se stessa, e torna alla sua lingua amata, rendendo pubblico il suo fidanzamento con la Parola «che all’infinito si ripete in lacrime».

Autore

Miodrag Pavlović (28 novembre 1928 – 17 agosto 2014) è stato un poeta, scrittore, medico, critico e accademico serbo. Pavlović è stato nominato due volte per il Premio Nobel per la letteratura.

Si è laureato in medicina presso l' Università di Belgrado nel 1954. Ha studiato lingue straniere e ha scritto il suo primo volume di poesie, 87 poesie. Apparve nel 1952, l'anno in cui le autorità jugoslave, rispondendo a un discorso pubblico dello scrittore croato Miroslav Krleža, concessero maggiore libertà di espressione nella politica e nelle arti.

Un tema che occupa Pavlović, e molti altri intellettuali nell'ex Jugoslavia , Romania , Bulgaria , Macedonia , Grecia e Albania , è la continuità tra gli antichi popoli dei Balcani e i loro discendenti moderni. Nell'opera di Pavlović sono frequenti i riferimenti al passato antico e medievale. Tra le sue poesie storiche, le più importanti sono 'Odisej na Kirkinom ostrvu' ('Odisseo sull'isola di Circe'), 'Eleuzijske seni' ('Ombre Elisi'). Queste poesie sono spesso di natura allegorica, riferendosi infatti ai nostri tempi, con i loro racconti di manipolazione, inganno e, soprattutto, paura. Sono scritte direttamente nel presente poesie come 'Prisoner' (senza titolo nell'originale serbo), 'Requiem', 'Strah' ('Paura'), 'Pod zemljom' ('Sotto terra') e 'Kavge' (' Faide').

Nel 2012 gli è stato assegnato il premio letterario tedesco Petrarca-Preis. Negli ultimi anni della sua vita visse alternativamente a Tuttlingen, in Germania, e a Belgrado, in Serbia.